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Di Galsan Tschinag AER ha pubblicato Il cielo azzurro e Ventun giorni.
Leggere «Il cielo azzurro» è come calarsi lentamente in un mondo arcaico e perduto; è scoprire una civiltà diversa, un modo di vivere lontano dal progresso, legato ad un mondo primitivo che offre, a chi lo sa capire e “usare”, una vita piena e intensa, un amalgama di fatiche, dolori, privazioni, rinunce, ma anche di pace e di serenità in diretto rapporto con la natura. Il lungo racconto racchiude l'infanzia dell'autore, un bambino tuwino, vissuto a contatto con la natura selvaggia della steppa mongola. Attraverso le descrizioni di luoghi, ambienti, situazioni e fatti della sua tribù, egli rivive la sua esperienza di pastore nomade, errante fra la steppa e le montagne della Mongolia. E i suoi ricordi rimangono intatti, anche dopo il suo contatto con la “civiltà degli uomini delle città”. Indimenticabili due figure che per intensità di contenuto umano e poetico emergono e dominano su tutta la storia: la nonna, “il sole che ha riscaldato l'alba della mia vita” e Arsylang, il cane, fedele amico delle migrazioni stagionali. Due i momenti più intensi della narrazione: la morte della nonna, intesa come un momento doloroso ma ineluttabile, e quella di Arsylang vissuta in un'ottica di violenza verbale contro gli uomini e contro quel Cielo Azzurro, la Divinità che non capisce e valuta con una misura ineguale coloro che vivono sotto di lei.
Marino Cassini, LG Argomenti XXXIV, 2, aprile-giugno 1998, 68 s.
Steppe e solitarie montagne dell'Asia, ritmi lenti delle stagioni segnati dalla transumanza del bestiame: questo lo sfondo su cui si muovono i Tuwini, pastori nomadi della Mongolia che, da sempre, mantengono un legame intimo e profondo con la natura. Fra loro un bambino, Galsan, e il suo mondo fatto di piccole cose, di lavoro e fatica, di corse sterminate, di cieli azzurri e di sogni, di appagante felicità, di amore muto ma profondo per la sua famiglia…
Clara Trezzi, Nuova e Nostra 12, 8 giugno 2003, 12.
Romanzo nel quale rivivono l'infanzia e la fanciullezza di un bambino tuwini, stirpe di nomadi allevatori di bestiame nelle steppe della Mongolia. È il racconto della dura lotta quotidiana per la sopravvivenza in una società immutata da secoli minacciata dal crollo di antiche strutture e tradizioni economiche e sociali.
Wolftraud de Concini, Montagna Libri, 11a Rassegna Internazionale dell'Editoria di Montagna, 1997, 184. |