ricco di testimonianze su un mondo a noi sconosciuto, eppur riconoscibile nei sentimenti. L'autore, figlio di una famiglia di pastori nomadi tuvini, nato nel nord-ovest della Mongolia, narra gli avvenimenti occorsigli durante una visita ai genitori e, con questo, le abitudini, le usanze e le tradizioni del suo popolo. Durante i ventun giorni estivi trascorsi insieme alla moglie nel villaggio in cui Ã¨ nato, Galsan ritrova figli, amici, parenti e, soprattutto, sensazioni e ricordi.
Ambientato nella regione tuvina, una repubblica autonoma della federazione russa che si estende per 175.000 km2 nella Siberia Centrale, al confine con la Mongolia, il romanzo racconta il ritorno di Galsan Tschinag tra la sua gente. Nonostante i giacimenti di oro, platino e uranio che arricchiscono la loro terra, la popolazione tuvina ancora oggi continua a praticare l'allevamento del bestiame â€“ cammelli, jak e renne â€“ mantenendo inalterati usi e costume antichissimi. I tuvini infatti sono un popolo nomade, come gli zingari dell'Europa centrale o i pellerossa americani, e il rapporto che li lega alla loro terra e alle tradizioni del passato Ã¨ piÃ¹ forte di qualsiasi altro richiamo. Galsan ha fatto una scelta diversa, Ã¨ andato a vivere nella capitale, ha studiato ed Ã¨ diventato insegnante in una scuola superiore. Ha lasciato perÃ² i suoi due figli coi nonni, in una tribÃ¹ di pastori, ed Ã¨ qui che torna per 21 giorni, condividendo abitudini e rituali e ritrovando i gesti e le parole della sua infanzia. Il suo racconto, cadenzato dai toni epici caratteristici delle narrazioni orali, descrive solenni battesimi e funerali nella steppa, fa prendere parte il lettore alla caccia alla marmotta e alle cerimonie sacre dentro le iurte. Uno per uno, i diversi membri della tribÃ¹ vengono chiamati da Galsan a raccontare la propria storia o le antiche leggende, fino a comporre un ritratto vivissimo di un popolo orgogliosamente attaccato alle proprie radici.
Enrica Guidotti, Andersen XVIII, 147, marzo 1999, 38.